*Conservazione Pfizer: 3 possibili modi di conservazione, ci sono infatti super-congelatori "a bassissima temperatura, ora disponibili in commercio e che possono prolungare la durata di conservazione fino a 6 mesi.
Ma il vaccino può essere conservato anche per 5 giorni in condizioni refrigerate a 2-8°C (le unità di refrigerazione sono molto spesso disponibili negli ospedali)".Infine si possono usare direttamente gli 'shipper', ovvero i contenitori termici Pfizer (in cui arriveranno le dosi), "che possono essere utilizzati come unità di stoccaggio temporaneo riempiendoli con ghiaccio secco ogni 5 giorni per un massimo di 30 giorni.
**Conservazione MOderna: : I flaconcini chiusi devono essere conservati congelati in un congelatore a una temperatura compresa tra -25 °C e -15 °C e nella scatola originale, per proteggere il medicinale dalla luce.Una volta scongelato, il vaccino non deve essere ricongelato. Il vaccino, nei flaconcini chiusi (non perforati), può essere conservato in frigorifero a una temperatura compresa tra 2 °C e 8 °C, al riparo dalla luce, per un massimo di 30 giorni e può essere conservato a una temperatura compresa tra 8 °C e 25 °C per un massimo di 12 ore dopo che è stato tolto dal congelatore.
Vai al sito AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco): In questa sezione si raccolgono tutte le informazioni più rilevanti e aggiornate sui vaccini COVID-19.
In questo periodo per affrontare i molteplici problemi di etica che la pandemia pone è stato istituito all’ISS il Gruppo di Lavoro ISS “Bioetica COVID-19”. La diffusione di SARS-CoV-2 ha reso necessario fronteggiare sia interrogativi di etica clinica, sia dilemmi di etica della sanità pubblica. Nel gruppo di lavoro si sono confrontati esperti in molteplici discipline: medicina clinica, sanità pubblica, epidemiologia, pediatria, cure palliative, diritto, filosofia, ricerca biomedica, scienze infermieristiche e, ovviamente, bioetica.
In questo senso è stato appena pubblicato il volume “Tutela della salute individuale e collettiva: temi etico-giuridici e opportunità per la sanità pubblica dopo COVID-19” che riporta i contributi e i punti di vista dei vari componenti del Gruppo che riflettono la molteplicità delle discipline e delle esperienze in un’emergenza epocale.
La voce degli infermieri e in particolare l’etica e la deontologia ai tempi di COVID-19 di questo professionista, sono affidati al capitolo curato da Aurelio Filippini, Azienda Socio Sanitaria Territoriale dei Sette Laghi, Varese, Centro di Ricerca in Etica Clinica, Università dell’Insubria, Varese e presidente dell’OPI Varese.
Filippini sottolinea che “essenziale è stata la relazione di cura: durante la pandemia c’è stata infatti una scarsa possibilità di conoscere chi è assistito per instaurare un rapporto di fiducia che però diventa patrimonio dell’essere professionista e entrare nelle case di nuovi assistiti, che versavano in condizioni già molto gravi, ha richiesto una eccezionale sensibilità e attenzione per guadagnare la fiducia nonostante spesso non ci fossero risposte alle domande. Essere riconosciuti è passato dagli sguardi e dalle mani, dall’esserci e dal gesto di cura. Nelle mani e nel gesto è racchiusa l’azione come attuazione della volontà, come simbolo di vicinanza e mezzo per il raggiungimento di un fine ultimo: il benessere della persona, della famiglia e della collettività. Il tempo che gli infermieri hanno passato con chi hanno assistito si è basato più che sulla quantità sull’intenzionalità al fine di far in modo che assistiti e familiari non sentissero di essere stati lasciati in abbandono”.
Secondo Filippini “entrare nelle case delle persone durante l’epidemia ha modificato anche le consuete modalità nell’informazione: per l’infermiere di famiglia e comunità l’equipe sul territorio è composta anche e soprattutto dalla famiglia con la quale il confronto e la presa di decisioni è sempre condivisa. In situazioni in cui il peggioramento delle condizioni di salute si è rivelato repentino è stato più complesso garantire la condivisione di tutte le informazioni con l’equipe degli operatori sanitari poiché l’infermiere non era fisicamente presente al domicilio. Spesso le colleghe e i colleghi si sono ritrovati a gestire il fine vita con il supporto dei famigliari e molte volte anche solo telefonicamente. Sono state difficoltà in più, da affrontare con motivazione, anche quando le comunicazioni sono state drammatiche. L’infermiere si è assicurato che l’interessato e la persona di riferimento avessero ricevuto tutte le informazioni sullo stato di salute in maniera precisa, completa e tempestiva”.
“A casa da soli – spiega – è stato particolarmente difficile affrontare il dolore e la palliazione. L’attenzione durante la pandemia di COVID-19 si fa necessariamente alta: l’infermiere è stato l’interlocutore essenziale delle persone assistite per garantire quel sollievo che sembra ancora così difficile da ottenere attraverso l’educazione all’utilizzo di presidi, quali elastomero e infusori in genere e somministrazione della appropriata terapia prescritta, mantenendo un canale privilegiato e costante al fine di non lasciare la persona e la famiglia in abbandono”.
Ed è per questo che è stato “fondamentale organizzarsi per assistere le numerose persone, comprese soprattutto quelle non COVID, che, non avendo la possibilità di accesso alle strutture ospedaliere, sono state necessariamente legate all’assistenza a domicilio, con alta necessità di informazione per riorganizzare i percorsi e formare la persona e i famigliari rispetto al rischio infettivo. L’adozione di protocolli operativi da adattare alla casa per la tutela dei famigliari è stata recepita come un dovere professionale”.
“L’infermiere – conclude Filippini – ha fatto proprie le sfide dei mutamenti demografici ed epidemiologici del nostro paese per archiviare classificazioni obsolete. La prevenzione, la cura, la riabilitazione, l’ospedale e il territorio sono dunque categorie di attività e non più luoghi che definiscono delle azioni professionali infermieristiche”.
E' avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Primo Levi
Per la prima volta in Italia è stata concepita e conclusa una iniziativa volta al recepimento della Legge Stanca del 9 gennaio 2004, n. 4 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) recante «Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici». Il contenuto di questa pagina proviene dall'OPI Carbonia Iglesias, ringraziamo i colleghi.
Nei siti internet degli OPI Carbonia Iglesias, Bologna, Frosinone, Pavia, Pordenone, Pescara, Teramo, Ragusa, Foggia, Ancona, Rimini, Alessandria, Napoli, Sassari e Oristano, aderenti alla FNOPI Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, stiamo ufficialmente e definitivamente per inserire, dedicate ai disabili sensoriali e loro care giver che avessero necessità e/o interesse di approfondire sulla professione infermieristica:
Nella vita professionale e nella rappresentanza istituzionale della FNOPI Opi provinciali ci sono momenti che suggellano un percorso, un impegno, un modo di vedere l’agire per nome e per conto di infermieri e assistiti.
Poter esporre questo progetto in dirittura d’arrivo complessivo e definitivo è uno di quei momenti perché non ci stiamo accingendo a pubblicizzare un video da parte di una infermiera sorda o da un infermiere interprete o un libro fine a se stesso o un audio realizzato da studenti infermieri, ma a condividere con i cittadini una lettura del mondo che circonda l’ambito nel quale gli infermieri dei nostri territori operano quotidianamente partendo dai bisogni dei più fragili, dei disabili, degli inabili, degli inascoltati, dei non percepiti.
Ci siamo impegnati e continueremo ad impegnarci per intercettare una necessità delle comunità dei ciechi e dei sordi: essere posti nelle medesime condizioni di chi vede e sente, nel nostro caso per mano degli infermieri ai quali si affidano nel contesto della responsabilità del governo dell’assistenza ospedaliera e territoriale, intimamente convinti che questo gesto di riguardo nei confronti dei nostri interlocutori abbia un valore aggiunto ed un peso specifico che l’infermieristica meritava di vedere inclusi e riconosciuti e annoverare tra le qualità che la contraddistinguono tra le professioni d’aiuto e sanitarie.
Quando si valuta una barriera da rimuovere per la fruizione di risposte assistenziali all’altezza delle aspettative e dei diritti dei cittadini, la professione infermieristica è e sarà sempre la prima a cercare soluzioni anche nelle difficoltà delle disabilità sensoriali e quindi nella sfera della comunicazione: questo era il nostro obiettivo e questo abbiamo portato a compimento testimoniando come si possano declinare a livello territoriale sollecitazioni a recepire leggi delle Stato, alla buona amministrazione e alla competente rappresentanza degli Ordini Professioni Infermieristiche provinciali che presiediamo unitamente al Consigli Direttivi.
In particolare: