Sono trascorsi 36 anni dall’audizione del CNEL (Storti, Ardigò, Coppa, Coppini) in Commissione Sanità del Senato nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della riforma sanitaria, ma ancora oggi molti di quei problemi che venivano segnalati dal CNEL sono ancora sul tavolo del Servizio Sanitario Nazionale.
E il CNEL li ha paradossalmente ribaditi e rilanciati (quasi) tutti nella sua Relazione 2019 al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini.
Un déjà-vu che fa riflettere e ragionare sulle reali necessità della vera assistenza i cittadini.
Una delle sfide più importanti che abbiamo davanti nel 2020 è probabilmente quella di “cambiare davvero” la realtà, riuscendo a dare risposte concrete ai vecchi e nuovi bisogni delle persone, a quelli del SSN e del Paese tutto. La fiducia dei cittadini nelle Istituzioni e nel SSN passa anche per questo: dimostrare di essere in grado di sintonizzarsi con la vita reale delle persone, leggere i fenomeni e i problemi, mettere a punto le azioni di miglioramento e decidere di implementarle davvero, guardando alle evidenze e non soltanto alle ideologie e alle scadenze elettorali.
È il caso delle disuguaglianze di salute e nell’accesso ai servizi socio-sanitari. Un problema vissuto e denunciato da tutti, un tema che in questi ultimi mesi è diventato ancora più incandescente grazie al dibattito sulle recenti proposte di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni. Ma le disuguaglianze non sono un fenomeno solo di questi anni.
In realtà vengono da molto più lontano come segnalava già nel 1984 il CNEL in Senato, osservando che “la riforma sanitaria del 1978 ha portato ad un maggiore divario nei livelli di assistenza nell’ambito delle singole Regioni”, mentre nel 1982, all’interno di un ulteriore documento (Osservazioni e proposte sullo stato di attuazione della riforma sanitaria), lo stesso Consiglio affermava come andava “aumentando il divario tra le regioni più progredite e quelle a più basso grado di sviluppo, risultato questo che costituisce una grave contraddizione rispetto ad uno dei principi fondamentali della riforma”.
Anche la risposta che veniva avanzata è tutt’oggi ripresa e proposta da una molteplicità di soggetti e attiene alla governance del SSN, in particolare al ruolo del Ministero della Salute e alla dinamica tra questo e le Regioni.
Per il CNEL una delle priorità era infatti quella “di aumentare e rendere più efficaci e penetranti i poteri del Ministero della sanità per quanto concerne l’indirizzo e il coordinamento… il modo con cui il Servizio è stato organizzato nell’ambito delle varie Regioni e zone del paese si presenta con differenze essenziali, per cui l’indirizzo e il coordinamento sembrano importanti”.
Del resto, già nel 1984 si avvertiva un “dinamismo” da parte delle Regioni, in particolare di alcune, a fronte di un certo affanno da parte delle politiche nazionali e delle istituzioni centrali.
L’esempio più eclatante è quello relativo ad uno dei principali adempimenti previsti dalla Legge 833/78: l’adozione del Piano Sanitario Nazionale e dei conseguenti Piani Sanitari Regionali.
Se la legge 833 all’art. 55 sanciva che i piani sanitari triennali delle regioni dovessero uniformarsi ai contenuti ed agli indirizzi del piano sanitario nazionale di cui all’articolo 53, ciò che si è verificato nella realtà è che nell’attesa che il livello centrale adottasse il PSN (l’ultimo Piano sanitario nazionale è quello relativo agli anni 2006-2008) alcune Regioni, soprattutto del Nord, si sono portate avanti adottando propri Piani Sanitari Regionali, anche piuttosto eterogeni tra loro contribuendo a sviluppare quelle disuguaglianze che anche oggi esistono.
Anche qui è lo stesso CNEL nel 1984 a segnalare come “i piani regionali rappresentano in molti casi un momento precedente al Piano nazionale, mentre dovrebbero essere a questo successivi…la mancanza del Piano sanitario nazionale ha fatto sì che, mancando certe direttive di carattere generale, ciascuna Regione legiferasse — alcune di esse hanno anche pianificato — con dei criteri che sono stati autonomamente scelti dalle Regioni stesse.”
Ma le disuguaglianze non riguardavano soltanto l’accesso ai servizi e la programmazione sanitaria, si riferivano anche al peso economico dell’assistenza sui redditi delle persone. Un tema che tiene banco anche oggi se si guarda alle differenze relative a ticket, IRPEF, spesa sanitaria pubblica pro-capite, …e alla relazione che intercorre tra qualità, sicurezza e accessibilità ai servizi sanitari e il livello di tassazione e compartecipazione alla spesa, dove in alcune realtà è persino inversamente proporzionale.
Anche riguardo all’incidenza complessiva del peso dell’assistenza sanitaria sul reddito di un individuo, tenuto conto delle imposte e della contribuzione, vi è una grande attualità nelle evidenze offerte dal CNEL oltre trent’anni fa: “esistono, a parità di reddito, disparità enormi… serve realizzare, sia pure con gradualità, una maggiore uniformità dei sacrifici sostenuti dai cittadini, perché anche questo è uno degli elementi di consenso dei cittadini stessi verso la riforma sanitaria, riforma essenziale che non ha ancora l’efficacia che potrebbe avere.”
Proprio la sua efficacia passa anche per lo sviluppo dell’assistenza socio-sanitaria territoriale. Un pilastro del SSN che è la grande incompiuta sulla quale è necessario lavorare intensamente per “costruire” risposte sempre più adeguate ad una delle priorità come può essere la cronicità. Oggi come ieri rappresenta una partita aperta, che il CNEL illustrava già nell’84 in modo molto chiaro:
“il polo territoriale (quello dei poliambulatori integrati in modo moderno, dei consultori, delle équipes mobili), che invece è completamente disatteso. Credo si possa dire che se c’è una tendenza regressiva che emerge con forza nella attuale crisi della riforma sanitaria, essa è la deterritorializzazione, la riduzione del decentramento nella gestione del Servizio sanitario nazionale. Il polo intermedio tra l’ospedale e il medico generico è quello che subisce le maggiori limitazioni”. Anche “l’attivazione della integrazione dei servizi sociali con quelli sanitari” veniva individuata come un obiettivo da raggiungere per evitare che la riforma del 1978 fosse «monca». Ancora oggi siamo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo.
Anche la riorganizzazione degli ospedali finalizzata a garantire una maggiore appropriatezza dei ricoveri e una maggiore qualità e sicurezza delle cure è un filone di impegno tuttora attuale, basti pensare solo al DM 70/2015. Ma era già tutto chiaro molti anni fa e infatti anche su questo il CNEL segnalava che “La rete ospedaliera italiana va riorganizzata con criteri di distinzione tra le funzioni degli ospedali stessi… esistono degli ospedali altamente qualificati che recepiscono persone lungodegenti, le quali potrebbero essere tranquillamente sistemate altrove. Dunque, riqualificazione degli ospedali e creazione di una serie di strutture sul territorio che servano ad impedire che gli ospedali stessi siano invasi anche da coloro che non hanno immediatamente bisogno di essere ricoverati.”
Anche in tema di “Sostenibilità del SSN”, questioni come “disinvestimento”, “finanziamento” e “tagli”, che oggi tengono banco nella politica sanitaria a partire ad esempio dai Nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, erano già piuttosto chiari e focalizzati nel 1984 e infatti anche su questo il CNEL ricordava come “per le questioni di ordine finanziario due indicazioni che sono state largamente disattese. La prima era che si doveva agire o con l’eliminazione di alcune prestazioni considerate superflue, o attraverso un eventuale aumento delle entrate, ma non comunque attraverso l’aumento dei tickets, soprattutto per le prestazioni di carattere diagnostico, fondamentali per la prevenzione — che resta uno degli obiettivi più disattesi della riforma sanitaria —. La seconda indicazione era che si doveva cercare di realizzare una maggiore equità nell’ambito dei sacrifici che i cittadini sostengono per il Servizio sanitario. Gli ultimi elementi raccolti fanno invece pensare che ci si stia sempre più allontanando da questa equità.”
Ma perché dopo tanti anni su molti di questi argomenti si è fatto ancora troppo poco o nulla?
Le cause sono molteplici come ad esempio:
– la mancata volontà politica di colmare realmente il divario nord-sud, perché il divario serve a qualcuno ma non ai cittadini;
– scelte politiche guidate dalle scadenze elettorali, che non hanno guardato sempre alla Salute dei cittadini e alle “evidenze” quanto piuttosto al campanilismo, agli interessi delle lobby negative e ad altri tipi di interessi che non hanno nulla a che vedere con quelli dei cittadini;
– la moda di smantellare ciò che è stato costruito dalla controparte politica, a prescindere dal merito delle scelte fatte, dagli esiti e dalle evidenze;
– fragile stabilità dei Governi e orizzonti temporali troppo stretti per la programmazione (anche economica) del SSN e per i sistemi di valutazione dei centri di responsabilità della sanità;
– interessi contrastanti dei diversi soggetti che operano nel mondo della sanità e la contestuale incapacità della politica di allinearli e metterli in equilibrio;
– la moda delle “nozze con i fichi secchi” e i ripetuti tagli al finanziamento programmato del SSN;
– la scarsa priorità data alla Salute e alla sanità pubblica nell’agenda della politica, portando il SSN ad essere considerato come costo e non al contrario come un investimento straordinario per il diritto alla Salute e per la coesione sociale;
– subordinazione della Salute all’Economia, lo squilibrio tra l’esigenza di tenuta dei conti e la garanzia dei LEA, nonché la gestione problematica dei Piani di rientro dal disavanzo in sanità;
– l’incapacità di ammodernare e innovare realmente il SSN per allinearlo velocemente con l’evoluzione dei bisogni della popolazione e l’epidemiologia, oltre che la mancanza di volontà di farlo veramente;
– legalità, trasparenza, valutazione e meritocrazia in affanno per troppi anni e a macchia di leopardo
– mancanza di una politica nazionale forte in sanità che non ha garantito adeguatamente verifiche, interventi e coordinamento nei confronti delle Regioni e che non ha neanche saputo fornire a quest’ultime le risposte che chiedevano, con il conseguente aumento del divario Nord-Sud e in genarle tra le Regioni; e quindi crescita delle disuguaglianze;
– problemi evidenti nelle scelte e nella programmazione tra Governo e Regioni, testimoniati dai contenziosi anche a livello costituzionale che non accennano a cessare.
L’ultima Legge di Bilancio ha iniziato a dare alcune risposte concrete. Anche il nuovo Patto per la Salute offre alcune importanti soluzioni a molti di questi problemi. Ora la sfida da vincere è quella di dargli gambe, attuarlo veramente in tutto il Paese e farne percepire gli effetti ai cittadini.
In altre parole, è ora di cambiare davvero!
Tonino Aceti, Portavoce FNOPI
L'ex direttore di Rai Tre con un tweet ringrazia tutti quelli che lo hanno sostenuto in un anno difficile, dopo l'ictus e la perdita della parola: un pensiero speciale all'infermiera che lo soccorse il 2 febbraio dello scorso anno a casa
«Tornare in tv è stato incredibilmente emozionante. Grazie a tutti i messaggi, davvero, in particolare quello via Messenger di Lucia, l'infermiera del 118 che mi ha soccorso a casa quel 2 febbraio. Grazie, Lucia»
Dopo l'annuncio del presidente Siiet, dott. Roberto Romano di qualche settimana fa, arriva oggi anche il ritiro della FNOPI
Gli Stati generali della medicina di Emergenza-Urgenza, voluti dalla Fimeuc, presieduta da Fabiola Fini che un mese fa annunciava "Vogliamo iniziare un percorso che ci porterà alla convocazione degli stati generali della medicina di Emergenza-Urgenza che si terranno a Firenze il 5-6 marzo 2020" con l'intento di coinvolgere tutti i professionisti sanitari impegnati in questo particolare setting assistenziale.
Questa mattina è stato annunciato ufficialmente il ritiro della FNOPI, lasciando solo la parte medica.
La Fnopi ritira così logo ed esperti da tutti i tavoli tecnici, non esistendo i presupposti per un lavoro sinergico con la parte medica in favore della salute dei cittadini.
Una rottura che presuppone una non condivisione del modus operandi degli organizzatori, quasi tutti inseriti nei sindacati medici.
Stati Generali dell'Emergenza Urgenza che potremmo così ribattezzare come gli "Stati Generali dell'Emergenza Urgenza dei laureati in medicina".
Attendiamo, a questo punto doveroso, un chiarimento da parte della FIMEUC.
Per la prima volta in Italia è stata concepita e conclusa una iniziativa volta al recepimento della Legge Stanca del 9 gennaio 2004, n. 4 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) recante «Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici». Il contenuto di questa pagina proviene dall'OPI Carbonia Iglesias, ringraziamo i colleghi.
Nei siti internet degli OPI Carbonia Iglesias, Bologna, Frosinone, Pavia, Pordenone, Pescara, Teramo, Ragusa, Foggia, Ancona, Rimini, Alessandria, Napoli, Sassari e Oristano, aderenti alla FNOPI Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, stiamo ufficialmente e definitivamente per inserire, dedicate ai disabili sensoriali e loro care giver che avessero necessità e/o interesse di approfondire sulla professione infermieristica:
Nella vita professionale e nella rappresentanza istituzionale della FNOPI Opi provinciali ci sono momenti che suggellano un percorso, un impegno, un modo di vedere l’agire per nome e per conto di infermieri e assistiti.
Poter esporre questo progetto in dirittura d’arrivo complessivo e definitivo è uno di quei momenti perché non ci stiamo accingendo a pubblicizzare un video da parte di una infermiera sorda o da un infermiere interprete o un libro fine a se stesso o un audio realizzato da studenti infermieri, ma a condividere con i cittadini una lettura del mondo che circonda l’ambito nel quale gli infermieri dei nostri territori operano quotidianamente partendo dai bisogni dei più fragili, dei disabili, degli inabili, degli inascoltati, dei non percepiti.
Ci siamo impegnati e continueremo ad impegnarci per intercettare una necessità delle comunità dei ciechi e dei sordi: essere posti nelle medesime condizioni di chi vede e sente, nel nostro caso per mano degli infermieri ai quali si affidano nel contesto della responsabilità del governo dell’assistenza ospedaliera e territoriale, intimamente convinti che questo gesto di riguardo nei confronti dei nostri interlocutori abbia un valore aggiunto ed un peso specifico che l’infermieristica meritava di vedere inclusi e riconosciuti e annoverare tra le qualità che la contraddistinguono tra le professioni d’aiuto e sanitarie.
Quando si valuta una barriera da rimuovere per la fruizione di risposte assistenziali all’altezza delle aspettative e dei diritti dei cittadini, la professione infermieristica è e sarà sempre la prima a cercare soluzioni anche nelle difficoltà delle disabilità sensoriali e quindi nella sfera della comunicazione: questo era il nostro obiettivo e questo abbiamo portato a compimento testimoniando come si possano declinare a livello territoriale sollecitazioni a recepire leggi delle Stato, alla buona amministrazione e alla competente rappresentanza degli Ordini Professioni Infermieristiche provinciali che presiediamo unitamente al Consigli Direttivi.
In particolare: