"In questo momento, penso al Signore crocifisso e alle tante storie di crocifissi, della storia, ma quelli di oggi, di questa pandemia: medici, infermieri, infermiere, suore, sacerdoti, morti al fronte come soldati che hanno dato la vita per amore, resistenti come Maria sotto le croci delle loro comunità, negli ospedali, curando gli ammalati. Oggi anche ci sono crocifissi e crocifisse che muoiono per amore".
Così Papa Francesco in una telefonata in diretta con la trasmissione di Rai1 "A sua immagine". "Sono vicino, sono vicino a voi" - ha esordito il Pontefice collegandosi questo pomeriggio in diretta con la trasmissione di Rai1 "A sua immagine" dialogando per alcuni minuti con la conduttrice Lorena Bianchetti. Ha poi proseguito: "Sì, sono vicino al popolo di Dio, al più sofferente soprattutto, alle vittime di questa pandemia, al dolore del mondo, ma guardando su, guardando la speranza, che la speranza non delude, non toglie il dolore ma non delude". "Sempre la Pasqua finisce nella resurrezione e nella pace - ha aggiunto Francesco - è proprio il compromesso dell'amore che ti fa passare questa strada, dura, ma lui (Gesù, ndr) l'ha fatta prima. E questo ci conforta e ci dà forza". "Ringrazio tanto e anche io vorrei dire che vi voglio bene, a tutti" - ha concluso -. "Grazie, che il Signore la benedica e benedica tutti".
Pubblichiamo di seguito la testimonianza della collega infermiera impegnata in questa lunga battaglia. Anche al sito dell'ONU non è sfuggito il suo racconto...
“Il modo in cui indossiamo i nostri indumenti protettivi all’inizio di ogni turno decreta il nostro destino” dice l’infermiera ventiquattrenne Laura Lupi, in servizio nel reparto Covid-19 dell’ospedale di Teramo in Abruzzo.
“Quei primi venti minuti necessari per indossare la tuta protettiva sono fondamentali per evitare l’infezione. Mi è capitato di avere a che fare con le malattie infettive prima d’ora, ma questo virus è diverso perchè non ne sappiamo abbastanza“
La perdita di connessioni umane
“Mi sono laureata in scienze infermieristiche un anno fa e ho lavorato in reparti di medicina generale e geriatria, ma niente avrebbe potuto prepararmi per le sfide professionali ed emotive che sto affrontando adesso”, spiega al termine della sua prima settimana nel reparto Covid-19 dove si occupa di 34 pazienti.
“I miei turni durano dalle 7 alle 10 ore, durante i quali non posso mangiare né bere, perché è impossibile togliersi le tute protettive. A volte mi manca il respiro e non sento l’aria fresca nemmeno se apro una finestra. Forse la parte più difficile è mantenere la distanza fisica dai nostri pazienti, che risulta ancora più complicato dal fatto che siamo interamente coperti. La maggior parte della connessione umana, che è una delle cose che mi ha fatto innamorare di questo lavoro, si perde inevitabilmente.”
La paura costante dell’infezione
“Il mio primo giorno nel reparto Covid-19, sono entrata in una stanza e un paziente stava piangendo. Quando gli ho chiesto cosa fosse successo mi ha risposto che sua suocera era morta e lui non poteva consolare sua moglie. Tutto quello che ho potuto fare per alleviare la sua pena è stato mettere una mano sul suo petto, ma lui non riusciva nemmeno a vedere il mio viso.
Il primo giorno è stato particolarmente difficile ma ne sono venuta fuori.
Al mio ritorno a casa, ero fisicamente ed emotivamente distrutta, tutto quello che desideravo era l’abbraccio di mia madre, ma ovviamente non era possibile. All’inizio ho dovuto combattere l’istinto di arrendermi, ma non potevo abbandonare i miei colleghi. Devo continuare a fare il mio lavoro e so che posso fare la differenza per le vite dei pazienti.
Il mio lavoro è cambiato profondamente, così come il resto della mia giornata. Vivo con i miei genitori e mio fratello, ma non passo del tempo con loro da quando ho iniziato a lavorare in questo reparto. Non posso correre il rischio di contagiarli, quindi non possiamo neanche condividere le cene.
In passato, mi piaceva ripensare alla mia giornata di lavoro, sapendo che i momenti difficili potevano essere un’opportunità di crescita. Adesso vivo con il terrore costante di contagiare qualcuno e preferisco evitare di pensare al lavoro alla fine del turno.
Invece cerco di distrarmi per evitare di pensare al pericolo di infezione per me e per i miei cari.”
Voglio che i miei pazienti possano dire “Io sono sopravvissuto al coronavirus”
“Abbiamo sempre saputo che il nostro lavoro come infermieri comporta dei rischi. La differenza ora è che lo sanno anche gli altri. Mi sento ricompensata dalle espressioni di solidarietà, è gratificante sapere che le persone riconoscano il nostro ruolo e l’importanza del lavoro che facciamo.
In futuro spero di vedere i pazienti guariti che lasciano l’ospedale. Io so che possiamo sconfiggere il virus, lo possiamo combattere insieme. Voglio sentire i pazienti che tornano a casa dire “io sono sopravvissuto al Covid-19”. Questa è la motivazione che mi spinge ad andare avanti. Noi faremo tutto ciò che è umanamente possibile per vincere la pandemia insieme e ci riusciremo, dobbiamo riuscirci. Mai sottovalutare noi infermieri.
La sola cosa che vi chiediamo è di rimanere a casa per noi. Noi saremo al lavoro per voi.”
Per la prima volta in Italia è stata concepita e conclusa una iniziativa volta al recepimento della Legge Stanca del 9 gennaio 2004, n. 4 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) recante «Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici». Il contenuto di questa pagina proviene dall'OPI Carbonia Iglesias, ringraziamo i colleghi.
Nei siti internet degli OPI Carbonia Iglesias, Bologna, Frosinone, Pavia, Pordenone, Pescara, Teramo, Ragusa, Foggia, Ancona, Rimini, Alessandria, Napoli, Sassari e Oristano, aderenti alla FNOPI Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, stiamo ufficialmente e definitivamente per inserire, dedicate ai disabili sensoriali e loro care giver che avessero necessità e/o interesse di approfondire sulla professione infermieristica:
Nella vita professionale e nella rappresentanza istituzionale della FNOPI Opi provinciali ci sono momenti che suggellano un percorso, un impegno, un modo di vedere l’agire per nome e per conto di infermieri e assistiti.
Poter esporre questo progetto in dirittura d’arrivo complessivo e definitivo è uno di quei momenti perché non ci stiamo accingendo a pubblicizzare un video da parte di una infermiera sorda o da un infermiere interprete o un libro fine a se stesso o un audio realizzato da studenti infermieri, ma a condividere con i cittadini una lettura del mondo che circonda l’ambito nel quale gli infermieri dei nostri territori operano quotidianamente partendo dai bisogni dei più fragili, dei disabili, degli inabili, degli inascoltati, dei non percepiti.
Ci siamo impegnati e continueremo ad impegnarci per intercettare una necessità delle comunità dei ciechi e dei sordi: essere posti nelle medesime condizioni di chi vede e sente, nel nostro caso per mano degli infermieri ai quali si affidano nel contesto della responsabilità del governo dell’assistenza ospedaliera e territoriale, intimamente convinti che questo gesto di riguardo nei confronti dei nostri interlocutori abbia un valore aggiunto ed un peso specifico che l’infermieristica meritava di vedere inclusi e riconosciuti e annoverare tra le qualità che la contraddistinguono tra le professioni d’aiuto e sanitarie.
Quando si valuta una barriera da rimuovere per la fruizione di risposte assistenziali all’altezza delle aspettative e dei diritti dei cittadini, la professione infermieristica è e sarà sempre la prima a cercare soluzioni anche nelle difficoltà delle disabilità sensoriali e quindi nella sfera della comunicazione: questo era il nostro obiettivo e questo abbiamo portato a compimento testimoniando come si possano declinare a livello territoriale sollecitazioni a recepire leggi delle Stato, alla buona amministrazione e alla competente rappresentanza degli Ordini Professioni Infermieristiche provinciali che presiediamo unitamente al Consigli Direttivi.
In particolare: