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Aggressioni in sanità. Datore di lavoro colpevole se non attiva evento formativo dopo l’episodio

aggressioni
In una sentenza di qualche settimana fa la Corte di Cassazione ha infatti condannato per omessa formazione un datore di lavoro che a seguito di infortunio subito da un prestatore d’opera, si era limitato soltanto a “correggere” il piano di lavoro e a rendere sicura una scala. E questo vale anche quando ci troviamo di fronte ad un infortunio sul lavoro quando un operatore sanitario viene aggredito durante lo svolgimento della propria attività professionale.

29 GIU - Un reato permanente (QS 28.6.2019) rischia anche il Datore di Lavoro in Sanità se a seguito aggressioni o violenze subite sul lavoro da un operatore del comparto non attiva un evento formativo ed informativo ai sensi degli articoli 36 e 37 del D.Lg.vo 81/08 in materia di Salute e Sicurezza sul Lavoro per il dipendente oggetto dell’aggressione e per i suoi colleghi per quel determinato rischio lavorativo. In una sentenza di qualche settimana fa la Corte di Cassazione ha infatti condannato per omessa formazione un datore di lavoro che a seguito di infortunio subito da un prestatore d’opera, si era l limitato soltanto a “correggere” il piano di lavoro e a rendere sicura una scala.
 
Precisiamolo una volta per tutte. Ci troviamo di fronte ad un infortunio sul lavoro quando un operatore sanitario viene aggredito durante lo svolgimento della propria attività professionale. Così dice l’INAIL sul sito istituzionale: “L’assicurazione obbligatoria Inail copre ogni incidente avvenuto per “causa violenta in occasione di lavoro” dal quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni.

In una sentenza di qualche settimana fa la Corte di Cassazione ha infatti condannato per omessa formazione un datore di lavoro che a seguito di infortunio subito da un prestatore d’opera, si era limitato soltanto a “correggere” il piano di lavoro e a rendere sicura una scala. E questo vale anche quando ci troviamo di fronte ad un infortunio sul lavoro quando un operatore sanitario viene aggredito durante lo svolgimento della propria attività professionale.

29 GIU - Un reato permanente (QS 28.6.2019) rischia anche il Datore di Lavoro in Sanità se a seguito aggressioni o violenze subite sul lavoro da un operatore del comparto non attiva un evento formativo ed informativo ai sensi degli articoli 36 e 37 del D.Lg.vo 81/08 in materia di Salute e Sicurezza sul Lavoro per il dipendente oggetto dell’aggressione e per i suoi colleghi per quel determinato rischio lavorativo. In una sentenza di qualche settimana fa la Corte di Cassazione ha infatti condannato per omessa formazione un datore di lavoro che a seguito di infortunio subito da un prestatore d’opera, si era l limitato soltanto a “correggere” il piano di lavoro e a rendere sicura una scala.
 
Precisiamolo una volta per tutte. Ci troviamo di fronte ad un infortunio sul lavoro quando un operatore sanitario viene aggredito durante lo svolgimento della propria attività professionale. Così dice l’INAIL sul sito istituzionale: “L’assicurazione obbligatoria Inail copre ogni incidente avvenuto per “causa violenta in occasione di lavoro” dal quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni.

Si differenzia dalla malattia professionale poiché l’evento scatenante è improvviso e violento, mentre nel primo caso le cause sono lente e diluite nel tempo. La causa violenta è un fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. In sintesi, una causa violenta è ogni aggressione che dall’esterno danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore. Per L'articolo completo www.quotidianosanita.it

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Gli Ortopedici lanciano l’allarme: aumentano i casi di “cifosi da smatphone” nei bimbi

smartphone
Dai 3 anni in poi chini per ore su dispositivi elettronici.

(ANSA) – MILANO, 19 GIU – I bambini stanno tranquilli e i genitori glieli ‘affidano’ per ore, senza pensare ai danni allo sviluppo dello scheletro (ma non solo) prodotti da quei veri ‘babysitter elettronici’ che sono i tablet e gli smartphone o i notebook. Danni importanti che oggi ha denunciato la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot), citando ‘numeri’ allarmanti: è del 700% l’aumento dei casi di cifosi registrati nelle scuole medie inferiori negli ultimi dieci anni.
"Stare chinati con le spalle in avanti per ore – spiega Carlo Ruosi, Professore di Ortopedia e Traumatologia Università Federico II di Napoli – è assolutamente sconsigliabile per bambini che hanno ancora le vertebre in via di formazione. Una situazione che a lungo andare le fa crescere deformate". E si vedono tanti bambini che non tengono più le spalle dritte, ma sono curvi in avanti.
"Oggi l’80% dei bambini di quarta e quinta elementare – aggiunge Ruosi – ha un ‘atteggiamento cifotico’. Era il 20% nel 2008. Una vera e propria bomba sociale – commenta il professore -: il numero eccessivo di ore (fino a sei al giorno) che dai 3-4 anni in poi i bambini trascorrono piegati in avanti su questi babysitter elettronici è causa di questo disturbo troppo spesso sottovalutato. Articolo completo www.aslteramo.it

 

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L’Aquila a dieci anni dal terremoto

laquila

Cosa è cambiato per la sanità della città martoriata dal sisma: dall’Ospedale San Salvatore, agli studi dei medici e le farmacie.

Il San Salvatore è tornato a lavorare a pieno ritmo diventando nuovamente un polo di attrazione per i pazienti extra regione. Ma la mensa continua a rimanere nei vecchi container e la struttura prefabbricata del G8 campeggia ancora nell’area ospedaliera. L'assistenza territoriale mostra invece ancora profondi segni di sofferenza: non è stata ancora raggiunta una percentuale di ricostruzione accettabile. Quasi tutte le farmacie sono tornate ad avere sede propria. Ma la situazione resta psicologicamente difficile.

 

05 APR - Sono passati 10 anni dalla notte del 6 aprile 2009 che ha cancellato il cuore de L’Aquila dalla mappa dell’Abruzzo. Nel corso di questo decennio Quotidiano Sanità non ha mai dimenticato e ha cercato di capire come stessero le cose sul fronte dell’assistenza sanitaria per evidenziare carenze e testimoniare passi in avanti.
 La prima volta siamo andati nel capoluogo abruzzese dopo 15 mesi da quel fatidico giorno di aprile, verificando di persona quali fossero le ferite riportate dall’ospedale San Salvatore, uno dei simboli negativi della tragedia, specchio del malaffare negli appalti. Inaugurato nel 2000, dopo ben 28 anni dalla posa della prima pietra e tanti soldi spesi, il terremoto mise a nudo le molte, moltissime dolose negligenze: il cemento con cui era stato realizzato era "disarmato".

http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=72782&fr=n

 

 

 

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