La sicurezza dei pazienti e delle cure di cui oggi ricorre la Giornata mondiale, è il primo obiettivo degli infermieri.
Lo dimostrano ogni giorno da sempre nella loro professione e lo hanno dimostrato con forza, professionalità e vicinanza durante la pandemia, dall’assistenza ai malati Covid per i quali hanno rischiato anche la vita a quella dei non Covid, che non hanno mai lasciato soli, fino all’educazione sanitaria e al dialogo per consentire il massimo successo alla indispensabile campagna vaccinale.
Nella sicurezza delle cure l’infermiere riveste un ruolo fondamentale in quanto corollario della responsabilità assistenziale e dell’autonomia, positivamente riconosciute anche dall’ordinamento giuridico.
L’infermiere è consapevole del proprio ruolo, e la tutela dell’assistito da assicurare con professionalità e una formazione adeguata è un’attività imprescindibile, parte integrante e fondamentale per l’erogazione in sicurezza delle cure e dell’assistenza alla persona, essenziale per adempiere alla mission dell’infermiere, in linea con la ratio della Legge n. 24/2017 sulla responsabilità sanitaria e dei principi posti alla base del governo del rischio clinico.
La sicurezza delle cure per l’infermiere ha precisi punti di riferimento.
Il Codice deontologico della professione infermieristica, che si basa anche sulla sicurezza nelle cure per la quale propone due strumenti per il corretto esercizio: il pensiero critico e la riflessione fondata sull’esperienza.
In ambiente ospedaliero gli infermieri svolgono e possono svolgere anche a livello di coordinamento (risk management) compiti per la sicurezza delle cure dei pazienti rispetto, per fare alcuni esempi, alle infezioni ospedaliere, alla prevenzione degli errori, all’aderenza terapeutica e alla terapia farmacologica, all’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.
Sul territorio gli infermieri svolgono un ruolo primario non solo nell’assistenza, ma anche nell’educazione e nell’informazione del paziente, nel monitoraggio e nella domiciliarità, grazie anche all’infermiere di famiglia/comunità, con la presa in carico proattiva dei bisogni degli assistiti e delle loro famiglie. E sono essenziali nella scuola, soprattutto alla ripresa dopo il lockdown per la pandemia, con aspetti essenziali per la sicurezza delle cure.
“Siamo andati nelle case delle persone – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli infermieri – e ci siamo resi conto delle situazioni di fragilità, visibilità e mancanza di prossimità spesso non prese in carico. Abbiamo difeso la sicurezza dei pazienti e delle cure e lo abbiamo fatto portando avanti la nostra professionalità e il ruolo fondamentale delle équipe multiprofessionali che devono essere la base del nuovo modello di assistenza: è il momento di cambiare, di crescere e di farlo non solo perché sono cresciuti e cambiati i professionisti, ma perché il primo obiettivo di tutti deve essere proprio quello della sicurezza dei pazienti e delle cure che oggi la giornata mondiale sottolinea e ricorda”.
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La sospensione dagli ordini professionali degli infermieri non vaccinati potrebbe essere realtà a breve. Questo non farebbe che aggravare la carenza di personale infermieristico.
Ricordiamo come con la sospensione dall'ordine professionale di appartenenza non si possa praticare la professione stessa.
Tuttavia la percentuale dei professionisti coinvolti sarebbe molto bassa, tanto da non destare attualmente preoccupazioni, queste in sintesi le dichiarazioni dei rispettivi presidenti di L'Aquila, Dott. ssa Maria Luisa Ianni e Teramo, Dott. Cristian Pediconi.
Infermieri: ne mancano oltre 60mila secondo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI).
E senza una soluzione alla carenza di organico chi rischia di più è l’assistenza, ma anche l’applicazione del PNRR che punta tutto sull’assistenza territoriale.
E ne mancano, anche in base alle dimensioni regionali, quasi 27mila a Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole.
Eppure, quella dell’infermiere è la professione del futuro e lo è con maggiori responsabilità, specializzazioni e infungibilità della professione. All’estero tutto ciò c’è già e gli infermieri, ad esempio in Spagna, Francia, Regno Unito, sono anche prescrittori di farmaci non specialistici e di presidi sanitari. Che sia la professione sanitaria del futuro è evidente: nel 2020 è stata l’unica laurea tra le sanitarie che ha visto aumentare le domande di quasi l’8% contro una diminuzione, più o meno evidente, delle altre e secondo i dati a un anno dalla laurea in tempi pre-Covid già l’80% era in servizio. Ma c’è carenza: il rapporto infermieri-abitanti in Italia è di 5,5-5,6 infermieri ogni mille abitanti, uno dei più bassi d’Europa secondo l’Ocse e il rapporto infermieri-medici, che dovrebbe essere secondo standard internazionali 1:3 è, sempre secondo l’Ocse, inferiore di 1:1,5.
La pandemia ha posto sotto gli occhi di tutti quello che già da anni fa, con la sua laurea, i master, i dottorati di ricerca e, ora, la richiesta chiara di scuole di specializzazione e dell’infungibilità della professione.
L’infermiere assicura il buon andamento delle strutture anche evitando eventuali carenze o atti impropri di altre figure, ma deve essere supportato da un organico numericamente e professionalmente efficiente e dotazioni all’altezza di un’assistenza di qualità, altrimenti c’è il rischio di peggiorare la situazione e trasformare chi dovrebbe organizzare in un capro espiatorio di errori altrui.
La necessità di più infermieri è stata messa in evidenza anche da numerosi centri di ricerca.
Il Censis presentato ha quantificato la carenza rapportando per l’Italia la presenza di infermieri a quella dell’Emilia-Romagna, considerata Regione Benchmark, in 57.000 unità e ha considerato che se il confronto dovesse avvenire con altri partner europei, come ad esempio il Regno Unito – che fa tra l’altro continua richiesta di infermieri italiani – la carenza salirebbe a quasi 300.000 unità.
Secondo il Rapporto Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata, la carenza in base ai parametri europei sarebbe di almeno 162.972 infermieri se rapportati al complesso della popolazione e 272.811 se rapportati alla popolazione ultra 75enne, che è quella di riferimento soprattutto sul territorio.
E secondo il concetto di staffing, il rapporto cioè tra infermieri e numero di pazienti assistiti che secondo i parametri medi nazionali e internazionali dovrebbe essere di un infermiere ogni 6 pazienti (ogni due nei servizi come pediatrie o terapie intensive e così via), mentre si assesta da anni a una media di 9,5 pazienti per infermiere con punte in alcune Regioni fino a 17-18 pazienti per infermiere.
Le possibili soluzioni
Per questo la FNOPI ha messo a punto per la prima volta alcune proposte diversificate tra loro su assi a breve, medio e lungo termine per far fronte alla carenza di professionisti con particolare attenzione a residenzialità privata e convenzionata e alle aree interne e disagiate. Il documento diventerà elemento ulteriore di interlocuzioni politiche e istituzionali della Federazione.
A breve termine – perché il problema è ora, così come ora deve partire l’applicazione del PNRR – c’è ad esempio il superamento del vincolo di esclusività che oggi lega l’infermiere nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico e la possibilità di esercizio libero professionale a supporto delle strutture sociosanitarie territoriali. Poi possono essere previsti progetti finalizzati a garantire il supporto in termini di prestazioni di assistenza infermieristica da parte delle Aziende Sanitarie alle strutture residenziali territoriali, con attività svolta al di fuori dell’orario di servizio e remunerata a parte. Altra norma da rivedere è quella di percorsi di incentivazione per “distacchi” o “comandi” dall’azienda sanitaria ospedaliera verso le strutture sociosanitarie territoriali, favorendo il riavvicinamento territoriale del dipendente considerata la residenza. E infine favorire l’accreditamento delle strutture sociosanitarie quali sedi di tirocinio dei corsi di laurea in infermieristica per potenziare le possibilità di svolgimento di tirocini curricolari da parte degli studenti del triennio quale strumento per lo sviluppo culturale in tale setting.
A medio termine si dovrebbero ridefinire le regole di accreditamento delle strutture in relazione all’evoluzione dei bisogni dei cittadini; valorizzare la professione infermieristica nelle strutture socio sanitarie territoriali; prevedere uno sviluppo in chiave clinica per attualizzare la necessaria maggiore pertinenza alla complessità e tipologia assistenziale di carriera e sotto il profilo gestionale; adeguare i contingenti formativi e valorizzare le competenze economicamente e sotto l’aspetto della responsabilità e dell’autonomia.
A lungo termine poi si dovrebbe favore il rientro degli infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi in termini contrattuali ed economici. Attualmente si calcola che lavorino all’estero circa 20.000 infermieri italiani.