Tratto da OPI.IT
20/08/2015 - Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione OPI, interviene nel botta e risposta estivo tra infermieri e Oss: "E' ora di scrivere la parola fine, ognuno torni al suo posto. E si lascino fuori i pazienti da queste scaramucce che con l'assistenza non hanno nulla a che fare"
Gli infermieri sono perfettamente consapevoli che gli Operatori socio sanitari (Oss) sono figure complementari importanti all'interno delle equipe assistenziali perché lavorando in maniera integrata, ognuno con le proprie funzioni, competenze e responsabilità, si realizzano modalità assistenziali ed operative rispettose dei profili e dei ruoli di ognuno. Ma gli infermieri non vogliono neppure che si dia spazio ulteriore a confusioni istituzionali con ripercussioni mediatiche (ed evidentemente professionali) che - e i casi si moltiplicano - confondono non solo i ruoli, ma soprattutto i pazienti che non sanno più con chi hanno a che fare per far fronte ai propri bisogni.
In questi giorni il fuoco della polemica è stato alimentato purtroppo da situazioni che non ci saremmo mai immaginati di dover affrontare: non sono più i mezzi di comunicazione o i pazienti a confondere gli operatori, ma paradossalmente chi questi dovrebbe conoscere meglio degli altri, i nostri datori di lavoro, le Regioni (solo alcune a dire la verità).
Nel merito delle ripercussioni sul piano del lavoro e della sua organizzazione entreranno più compiutamente, auspico, i sindacati ai quali si chiede di farsi interpreti dei problemi lavorativi degli infermieri (ed anche degli Oss) perché è inutile lanciare grida di scandalo e populiste sul fatto che gli infermieri non sono messi nelle condizioni di poter esercitare il ruolo e le responsabilità che gli competono quando, ai tavoli trattanti si "svende" la professionalità. In cambio di cosa, tra l'altro? Sistemi incentivanti appiattiti, valutazioni appiattite, assunzioni, dove ve ne sono, che non tengono conto dei modelli organizzativi e assistenziali: se in una équipe ci sono solo infermieri e non ci sono Oss, delle due l'una: o gli infermieri fanno mansioni improprie o la complessità assistenziale è tale per cui l'attività è tutta infermieristica (anche se una realtà così non l'ho ancora trovata). O viceversa, situazioni in cui l'infermiere non c'è e allora qualcuno viene "delegato" (senza sapere magari che la delega, quando si parla di responsabilità non esiste) a fare attività non ascrivibili al proprio profilo di competenza e responsabilità.
Più in generale, dal punto di vista organizzativo e programmatorio duole davvero osservare evidenze pericolose per la stessa tenuta del Ssn e sicuramente per la qualità dell'assistenza.
Distribuire a pioggia incentivi senza riconoscere livelli di responsabilità, ruoli e competenze, non rende davvero merito a chi opera nell'interesse diretto del paziente, alimenta confusioni di ruoli di cui altre professionalità si fanno scudo per ostacolare l'affermazione di nuovi modelli sanitari già operativi ed efficienti nell'Europa senza frontiere (il latino divide et impera che ha origini anche più antiche di latini), nella quale quindi il confronto con operatori che vivono ben altre situazioni è aperto. Ma soprattutto fanno fare un balzo indietro nel tempo alla meritocrazia tanto sbandierata da tutti, Regioni in testa e la fa finire nel calderone delle scelte politiche che non premiano davvero il merito, ma col metodo del pollo di Trilussa fanno in modo che ognuno abbia un pezzetto di ciò che spetterebbe anche ad altri, rendendo tutti scontenti: gli infermieri che si vedono appiattiti nonostante la loro professionalità su livelli di merito ben diversi dai loro, gli stessi Oss che si sentono offesi dalle reazioni naturali che questi hanno.
Non avrei mai immaginato di doverlo chiedere, ma hanno consapevolezza alcune Regioni e alcune strutture del SSN che l'infermiere è il professionista, formato in università, responsabile dell'assistenza del paziente, mentre l'Oss ha un altro percorso formativo, e, dopo che l'infermiere ha valutato il livello di complessità assistenziale, il contesto organizzativo, le condizioni cliniche, è sempre l'infermiere che decide se è più appropriato che sia il professionista stesso o l'oss a "mettere le mani" sul paziente e, nel caso sia l'Oss, quest'ultimo agisce sotto la supervisione dell'infermiere con la cui professionalità non ha però nulla a che fare?
Con un semplice "due più due" appare chiaro che il premio, giusto per chiunque lo meriti davvero, non può essere però equivalente per figure così diverse.
Le Regioni e le strutture del Ssn invece si occupino di far rispettare standard e protocolli che assegnano a ogni professione precise funzioni ed evitino di utilizzare figure non formate per interventi clinici sul paziente per svolgere compiti a questo punto non solo impropri, m pericolosi per il paziente stesso. Consentire a operatori non abilitati di eseguire manovre che non hanno mai neppure studiato dal punto di vista teorico, comporta una responsabilità ben più grave di quella economica, pone il paziente in una condizione di fragilità inconsapevole con buona pace del consenso informato e rischia perfino di far aumentare la spesa nel momento in cui manovre e interventi sbagliati portano a nuove criticità di salute e magari anche a ricorrere ad un intervento urgente altrimenti non necessario.
Gli infermieri non offendono gli Oss, né alcuna figura che lavora nel Ssn, così come non vogliono essere offesi da chiunque altro operi al loro fianco. Gli infermieri chiedono e affermano con forza e determinazione le proprie competenze, il proprio ruolo e la propria professionalità. Chi non ce l'ha non può offendersi perché un professionista riconosciuto come tale, tutela un suo diritto giuridicamente riconosciuto.
Come qualcuno ha sottolineato in questi giorni siamo tutti sulla stessa barca. È vero, ma è una barca che deve avere la prua indirizzata verso l'assistenza al paziente, senza la zavorra di questioni che col paziente non hanno nulla a che fare. Né sulla stessa barca si può remare l'uno contro l'altro, altrimenti si resta lì, dove il paziente e i suoi bisogni non ci sono e non si raggiungeranno mai soluzioni utili per lui e per l'assistenza. Si finisce così in una secca pericolosa, fatta di incomprensioni e fraintendimenti, su cui è ora di scrivere la parola fine per tornare ciascuno al proprio posto, al proprio ruolo e, soprattutto, alle proprie competenze, responsabilità e professionalità.
E, sia chiaro, il paziente deve essere lasciato fuori da queste scaramucce che con l'assistenza non hanno nulla a che fare: è evidente che sia lui il centro dell'attività di chi opera nel Ssn, mentre così non lo è affatto. Ed è pericoloso, di cattivo gusto e di poca considerazione per lui e per chi per lui opera a qualunque titolo e livello, che possa venire usato come alibi per situazioni che con l'assistenza, la sua cura e i suoi bisogni non hanno davvero nulla a che fare.
Barbara Mangiacavalli
Presidente Federazione nazionale OPI
Introduzione di Papagni Giuseppe
Quella che vi riportiamo di seguito è probabilmente un vissuto professionale che molti infermieri di lungo corso hanno sperimentato personalmente…un turbinio di emozioni contrastanti, momenti di esaltazione professionale alternati a momenti di sconforto dovuti alle tante dinamiche che accompagnano la vita professionale di un infermiere strumentista. Questa importante esperienza della collega Anna Di Martino ripresa da NurseTimes, vuole ispirare tanti giovani colleghi che si avvicinano al mondo dell’infermieristica e che dovendo scegliere il loro futuro professionale, trovano nelle parole della collega uno stimolo positivo determinante. Annamaria (detta Anna) Di Martino, laureata in infermieristica nel 2007, attualmente in forza all’Ausl Teramo, esercita come infermiera strumentista presso il blocco operatorio cardiochirurgico, componente del consiglio direttivo del collegio OPI di Teramo, responsabile della formazione. Nelle parole di Annamaria tutta la passione per la nostra professione!
“Abbiamo bisogno di una strumentista in Blocco Operatorio: vuole andare? Vuole provare?”
Queste furono le prime parole che sancirono l’inizio della mia variegata esperienza professionale che mi vede tutt’oggi protagonista.
Varcavo quella soglia nel 1999: anno, quantomeno numericamente, evocativo di una nota odissea.
Il primo impatto avvenne con un Blocco Operatorio polispecialistico in cui i miei colleghi, i chirurghi, gli anestesisti apparvero, ai miei occhi, delle figure quasi surreali ed anche un po’ aliene!
Le sale erano un tripudio di macchinari, attrezzature, piani di lavoro…Li osservavo muoversi sicuri dentro e fuori il campo operatorio con sapiente maestria e li ammiravo! Ammiravo la loro sicurezza, la loro preparazione tecnica e la prontezza nell’intervenire al momento opportuno. Ero rapita e, nello stesso tempo, spaventata.
Sarei stata mai capate di raggiungere i loro livelli?
Iniziò per me un training impegnativo tra teoria, pratica ed una full immersion didattica senza precedenti.
Il primo approccio con il tavolo operatorio ebbe, su di me, un impatto di un’intensità che può essere paragonata a quella di un colpo di fulmine, misto ad un turbinio di ansia e tensione.
Imparai, in prima istanza, a cambiare punto di vista. Non avevo mai realizzato quanto l’anatomia topografica fosse diversa da quella studiata sui libri e di quanto potesse aprire nuove considerazioni e conoscenze! Lo strumentario chirurgico brillava di luce propria sotto la luce fredda delle lampade scialitiche: io ne apprendevo i segreti che i miei colleghi ed i chirurghi mi trasmettevano. Presto mi accorsi di quanto i rapporti umani, sul tavolo operatorio, potessero essere completamente “alterati”, nel bene e nel male; era tutto amplificato: i tempi, i gesti, le parole, i toni…
Come dico sempre (con l’esperienza maturata): il tavolo operatorio, in alcuni frangenti, tira fuori il peggio!
Col passare del tempo le nebbie si diradavano ed iniziò a subentrare una certa padronanza delle tecniche chirurgiche e dello strumentario unite sapientemente dalla teoria che rende ogni atto armonico, capace di sviluppare la consapevolezza dell’importanza del lavoro d’equipe.
In concomitanza, tuttavia, mi convincevo che non vi è nulla di completamente ponderabile e di prevedibile quando si parla di medicina.
“Avere le mani in pasta” tutti i giorni, con i miei guanti calzati perfettamente, bardata come una guerriera, parte integrante di una equipe che operava all’unisono, mi faceva stare bene, sempre vigile, talvolta tesa ed ansiosa ma con la sensazione di essere al posto giusto: era la mia giusta dimensione!
Diminuivano le insicurezze ed aumentava la mia autostima e sete di conoscenza.
Studiavo, leggevo, osservavo di continuo, senza mai smettere e gli stimoli non mancavano. Di certo non era una passeggiata quanto, piuttosto, un percorso duro ed impegnativo costantemente in divenire.
Essere un infermiere strumentista, con scienza e coscienza, comporta non pochi sacrifici. Siamo perfettamente consapevoli quanto la nostra non sia vita facile, tantomeno scandita da ritmi regolari. Complicanze, emergenze ed imprevisti sono lì, sotto le nostre mani e vanno fronteggiati in maniera efficiente ed efficace nell’immediatezza del momento.
Nel corso della mia carriera, ho cambiato diverse sedi di lavoro, ho visitato e frequentato diverse realtà ed avuto a che fare con la quasi totalità delle specialità chirurgiche proseguendo, in concomitanza, il percorso di studi, raccogliendo più di una sfida riguardante la mia sfera professionale.
L’ultima di esse rappresenta la mia attuale: la chirurgia cardiaca!
Il cuore: organo nobile per eccellenza, motore di tutto il corpo umano, considerato per secoli sede dei nostri sentimenti e della nostra anima!
Approdai in questa nuova realtà nel 2011 ritrovando quel colpo di fulmine vissuto all’inizio della mia carriera, o meglio, un “coup de coeur”! Se dovessi usare una similitudine per descrivere il mio impatto con la cardiochirurgia, lo farei pensando ad una medaglia le cui due facce sono rappresentate: da una parte dall’apparente calma che si respira durante gli interventi, strettamente legata e necessaria all’alta complessità tecnica degli stessi; dall’altra l’elevata laboriosità e professionalità degli operatori e la stretta interazione tra di essi.
Entrando nel blocco cardiochirurgico, si avverte immediatamente il peso specifico della scienza e della tecnica. La super-specialistica cardiochirurgia è una branca sui generis. Essa, più di tutte le altre, oserei dire, comporta un impegno ed una preparazione specifica, nonché una spiccata motivazione professionale, controllo e spirito di gruppo.
Le figure professionali coinvolte sono diverse e di diversa natura e risultano in totale interazione armonica tra di loro. Cardiochirurghi, cardio-anestesisti, infermieri strumentisti, infermieri di anestesia, tecnici della perfusione compongono una sinfonia di alta complessità.
L’obiettivo finale è, naturalmente la riuscita dell’intervento e il riequilibrio della sua salute, al fine di fargli riacquistare una buona qualità di vita.
Prima che si lasci andare al suo sonno artificiale indotto, noi siamo lì, a sostenerlo in quella sorta di limbo, con parole di conforto per fargli affrontare al meglio il suo viaggio. Siamo lì durante i lunghi, complessi e delicati tempi chirurgici dell’intervento. Siamo lì, stoicamente, a tenere testa a quei cuori che resistono nel loro essere malconci e che condizionano l’andamento di tutto l’iter chirurgico!
Chiedo venia se questo mio excursus può essere letto come autocelebrativo degli infermieri di sala operatoria!
…ma vi assicuro che di riconoscimenti ne riceviamo ben pochi, se non da chi è a stretto contatto con noi.
Essendo “abitanti” di un ambiente chiuso sono tutti lì che fantasticano su quello che facciamo o meno e quasi mai corrisponde a realtà. Per questo, scusate, ma credo che sia più che dovuto un elogio a tutti gli infermieri, in particolare a quelli che scelgono, con investimenti in formazione e professionalità, di lavorare nelle sale operatorie, come infermieri strumentisti!
Il ruolo dello strumentista ha una forte connotazione tecnica, che ben poco ha a che fare con l’assistenza diretta al paziente, se non come ultimo destinatario del nostro operato. Uno strumentista ben formato è una preziosa risorsa, in particolare riferito ad un’alta specialistica come la cardiochirurgia. Il suo ruolo non può essere demandato a nessun altro, tantomeno in tempi brevi. Difficilmente sostituibile, se non dopo un training lungo, completo e complesso in cui tocca mettersi in discussione e riconsiderare tutta la nostra professionalità.
In sostanza, parafrasando una frase che ho letto sul web: il chirurgo avrà anche scoperto il fuoco, ma lo strumentista sa bene come giocarci!
Anna Di Martino
Tratto da opi.it
05/08/2015 - Minori trasferimenti dallo Stato, misure per il Giubileo e assunzioni all'Aifa. Ma il giudizio di sindacati e professioni resta negativo.
Con 295 voti favorevoli e 129 contrari la Camera ha approvato ieri sera in via definitiva il decreto "Enti locali", che diventa ufficialmente legge dello Stato. Sul fronte della Sanità, prevista la riduzione del finanziamento al Ssn pari a 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015, secondo quanto concordato in sede di Conferenza Stato Regioni. Andrà in vigore, poi, un sistema sanzionatorio per i medici che prescriveranno esami superflui. Stabilito un contributo di 33,5 milioni di euro alla Regione Lazio finalizzato all'attuazione, in ambito sanitario, del piano straordinario per il Giubileo 20165/2016 (con la previsione di una polizza sanitaria di 50 euro per i pellegrini che intendano ricevere prestazioni sanitarie in Italia). Infine, 241 nuove assunzioni a tempo indeterminato all'Aifa fino al 2018.
Una vera e propria "manovra", inserita in un decreto di portata più ampia, che ha suscitato non poche perplessità tra i professionisti sanitari.
La presidente della Federazione nazionale Collegi OPI, Barbara Mangiacavalli, ha pubblicato lo scorso 3 agosto una propria riflessione sul portale istituzionale, di cui riportiamo alcuni stralci:
"Siamo i primi a volere un Servizio sanitario nazionale più sostenibile e che va quindi ottimizzato nella programmazione, nella gestione e negli effetti che questa ha sull'assistenza e sui bilanci. Ma tagliare non vuol dire razionalizzare. La Sanità ha già messo sul piatto dei tagli lineari per oltre 30 miliardi. Ora non si può chiedere altro se non a scapito della qualità. Quel che serve non è solo il controllo contabile di acquisti e investimenti, già programmato più volte negli ultimi anni e che andrebbe solo fatto rispettare senza stringere ogni volta di più la cinghia, ma una vera riorganizzazione dei percorsi di cura e dei processi di lavoro: più integrazione tra le professioni, più adeguatezza nelle prestazioni, più attenzione ai bisogni delle persone, meno sprechi e meno gerarchia. E' necessario valorizzare il lavoro che caratterizza l'assistenza perché solo così questa migliora. Ed è così che si generano ulteriori economie da reinvestire a vantaggio di tutti: operatori e pazienti".
"Il Servizio sanitario nazionale non ha bisogno di altri tagli - ormai tutto il mondo sanitario lo ha affermato quotidianamente e in modo assolutamente unitario - o di allarmi su presunte inefficienze o peggio di annunci che dalla sanità si possono ricavare ancora miliardi di risparmi. E' un atteggiamento questo, che fa capire alle persone, agli "utenti", che il sistema non va, che le cure e l'assistenza loro erogata non sono all'altezza di ciò che invece è. Invece il sistema può ancora migliorare grazie a nuovi e moderni assetti organizzativi. Al contrario, con questo atteggiamento non solo si giustificano inefficienze "provocate" al sistema, ma si mette anche in cattiva luce ciò che i professionisti fanno ogni giorno, tentando col loro lavoro anche oltre il dovuto e spesso il consentito, di supplire a carenze di cui altrimenti gli unici a fare le spese sarebbero in prima persona i pazienti".
"Per questo ad esempio, nell'ambito delle professioni sanitarie – ma ogni professione ha le sue carte da giocare - il ministro potrebbe rendere attuativa la norma sull'implementazione delle competenze avanzate, che vuol dire sviluppo professionale per tutte le professioni mediche e sanitarie, e prestazioni migliori da erogare attraverso nuovi mix produttivi. Riorganizzare mezzi, persone e funzioni per razionalizzare la filiera è l'unica strada per garantire ai cittadini e al sistema un reale recupero di efficienza senza ridimensionare i servizi: meno spesa inutile, meno procedure e più investimento nella presa in carico dei pazienti".