di Elena Rosteghin (1), Antonio Boscolo Anzoletti (2), Sabrina Barro (3)
(1) Infermiera
(2) Coordinatore infermieristico, Uo di Cardiologia, Ulss 14 Chioggia
(3) Infermiera, Centro per lo scompenso cardiaco, Uo di Cardiologia, San Donà di Piave (VE), Chairperson Anmco
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Il problema
L'insufficienza cardiaca rappresenta attualmente una delle più importanti cause di morbilità e mortalità, essendo il motivo più frequente di ospedalizzazione nei soggetti di età superiore ai 65 anni. Circa l'1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati è affetta da scompenso cardiaco, con una prevalenza che supera il 10% tra le persone con età superiore ai 70 anni (European heart journal, 2012). Tale patologia risulta essere in continua crescita a causa sia dell'aumento dell'età media della popolazione, sia della maggior sopravvivenza alle patologie cardiovascolari determinatosi anche dal progressivo miglioramento ed efficacia delle cure. L'instabilità e la progressiva evoluzione della patologia richiedono un'assistenza olistica e continua del paziente, con interventi volti a migliorare la compliance del paziente.
Infatti molto spesso le ospedalizzazioni non sono dovute ad un'inevitabile evoluzione della patologia, ma ad un peggioramento della stessa dovuto alla scarsa compliance del paziente (Verdiani, 2004). In alcuni casi il fattore scatenante è proprio la mancata aderenza del paziente alle prescrizioni farmacologiche e non; questo è dovuto al fatto che le malattie croniche impongono schemi farmacologici complessi, prescrizioni a lungo termine e modificazioni dello stile di vita (Verdiani, 2004).
Esistono molte unità di Cardiologia in cui è presente un ambulatorio dedicato allo scompenso cardiaco, gestito da un team multidisciplinare di medici e infermieri, la cui finalità è la gestione del paziente e il suo coinvolgimento attivo, stabilizzandone le condizioni cliniche, rallentando la progressione della malattia e prevenendo le recidive. Questa gestione contribuisce inoltre al miglioramento della qualità di vita, alla riduzione della mortalità e alla diminuzione dei costi (Verdiani, 2004).
Lo scopo dello studio qui presentato è l'individuazione dei pazienti "stabili" mediante criteri oggettivi, ovvero tratti da criteri presenti e studiati in letteratura, da parte dell'infermiere che esegue il primo contatto, con l'intento di verificare le condizioni che permettano di evitare ulteriori approfondimenti non necessari, ottimizzando in tal modo le risorse e i costi per la struttura e riducendo attese e disagi per il paziente.
Il nostro ambulatorio per pazienti stabili e instabili
Per l'indagine sono stati utilizzati dati raccolti dal database dell'ambulatorio dedicato allo scompenso cardiaco della Cardiologia dell'ospedale "Madonna della Navicella" dell'Ulss 14 di Chioggia. Delle 703 cartelle analizzate relative alle visite di follow up, ne sono state considerate per lo studio 423 relative a 170 pazienti, poiché per ogni paziente sono state prese in considerazione due o più visite.
I pazienti sono stati suddivisi in "stabili" e "non stabili" in base alla classe Nyha di appartenenza, ai segni e sintomi riferiti, al valore della Bia e al dosaggio del Bnp.
In particolare per verificare la stabilità o meno del paziente sono stati utilizzati i seguenti criteri:
la classe Nyha di appartenenza non doveva essere peggiorata rispetto alla visita precedente;
l'assenza o la presenza di lievi segni e sintomi, quali ad esempio dispnea, astenia, oliguria, nicturia ma già conosciuti;
il peso non doveva aver subito aumenti improvvisi;
nessun aumento >30 % del Bnp rispetto al precedente;
lo stato di idratazione rilevato con la Bia, il cui valore doveva essere compreso tra 72,9% e 74,3%;
nessuna sensazione soggettiva di malessere riferita dal paziente durante l'intervista.
Dall'analisi dei dati è risultato che il 69% (117) dei pazienti che afferiscono all'ambulatorio possono essere definiti "stabili", non presentando variazioni significative dei parametri presi in considerazione e non necessitando, conseguentemente, di alcuna modifica della terapia in atto o di ulteriori visite specialistiche a breve termine. Il 31% (53) dei pazienti, invece, ha presentato alterazioni delle variabili prese in considerazione che richiedevano ulteriori approfondimenti mediante visita medica per eventuali indagini specifiche e/o variazioni della terapia.
Figura 1 - L'instabilità del paziente: motivazioni
Figura 1 - L'instabilità del paziente: motivazioni
In Figura 1 sono presentate le percentuali delle variabili che hanno portato a considerare instabili il 31% dei pazienti.
Le variabili prese in considerazione sono state:
sintomatologia riferita dal paziente stesso;
Bia >74.3%
Bia <72,9%;
aumento >30% del Bnp rispetto alla visita precedente;
peggioramento di una o due classi funzionali Nyha, rispetto alla dimissione o al controllo precedente.
Dall'analisi è risultato che il 15% dei pazienti ha riferito un'alterazione dello stato di benessere, presentando segni e/o sintomi che hanno richiesto un'ulteriore visita cardiologica.
Il 3% presentava una sintomatologia alterata associata ad un'alterazione della Bia: di questi il 2% aveva una Bia >74.3%, mentre per l'1% era <72,9%.
Il 3% presentava valori del Bnp aumentati rispetto alla visita precedente.
Nell'8% dei pazienti si è verificato un aumento sia del Bnp sia della Bia.
Infine il 2% dei pazienti presentava una classe Nyha 4.
Come migliorare?
Il numero di pazienti che accedono all'ambulatorio per lo scompenso è in costante aumento data la sempre maggiore incidenza della patologia nella popolazione. I tempi di attesa per effettuare la visita (che comprende prima il colloquio infermieristico e poi la visita medica cardiologica) possono essere mal tollerati dal paziente stesso a causa della frequente presenza di sintomi invalidanti.
A tal proposito per i pazienti stabili potrebbe essere sufficiente l'esecuzione da parte dell'infermiere dei controlli periodici, educando e fornendo indicazioni per la gestione della patologia.In caso di variazioni dei valori in precedenza rilevati, l'infermiere invierà il paziente al cardiologo per i necessari approfondimenti.
Dalla letteratura analizzata è emerso che in alcuni paesi europei (ad esempio, Regno Unito, Svezia e Usa) sono già presenti ambulatori a conduzione esclusivamente infermieristica: le Nurse-led clinic, ovvero ambulatori che forniscono un servizio per il cliente, gestiti e organizzati da soli infermieri, competenti nel valutare, trattare e consultare o inviare il cliente ad altri specialisti quando richiesto.
La particolarità del Nurse-led clinic consiste nel fatto che vengono gestite dagli infermieri in autonomia considerando il paziente olisticamente. Le prestazioni erogate in questi ambulatori riguardano la valutazione e il monitoraggio dello stato di salute del paziente, la consulenza riguardo alle modifiche dello stile di vita e alla corretta somministrazione della terapia (Best practice, 2010).
Questo modello organizzativo potrebbe, in futuro, essere adottato ed applicato, nel rispetto della normativa vigente, anche in Italia. Il paziente considerato "stabile", in seguito a valutazione dei parametri proposti in questo studio, potrebbe concludere il follow up al primo step, avvalendosi del medico solo in caso di alterazione significativa dei parametri, come avviene nelle Nurse-led clinic.
Ciò porterebbe ad un'ottimizzazione delle risorse sia umane che economiche, con riduzione delle liste d'attesa e dei costi della struttura.
Fin dai primi anni Novanta sono state condotte numerose ricerche sul ruolo dell'infermiere nei diversi programmi di gestione dello scompenso cardiaco. Da tali studi è emersa una riduzione del numero di ricoveri, delle giornate di degenza e dei conseguenti costi. Inoltre si è verificato un aumento dei tempi di riospedalizzazione e un miglioramento della qualità di vita e riduzione della mortalità. (Cline, Israelsson, Willeheimer, et al., 1998), (Stewart, Marley, Horowitz, 1999).
I dati raccolti suggeriscono che l'infermiere è in grado di accertare la stabilità clinica del paziente affetto da scompenso cardiaco. Inoltre si pongono le condizioni, senza rischi per il paziente, per l'organizzazione di ambulatori a conduzione infermieristica. Il modello di gestione proposto, dato l'elevato numero di pazienti che potrebbero essere seguiti, permetterebbe di ridurre i tempi di attesa, non solo per il paziente che accede all'ambulatorio per lo scompenso cardiaco, ma anche per le visite cardiologiche e gli esami strumentali.
È, quindi, un ruolo qualificante per la professione e utile, in definitiva, sia per il paziente che avrebbe meno tempi d'attesa, sia per l'organizzazione che può destinare diversamente altre risorse professionali verso altre attività. Questo comporta, certamente, per l'infermiere maggiori responsabilità, ma in linea con il suo profilo professionale e con la naturale evoluzione dell'infermieristica.
BIBLIOGRAFIA
- Verdiani V, Nozzoli C (2004). Scompenso cardiaco: prevenire le riospedalizzazioni applicando programmi di gestione. Monaldi Arch Chest Dis; 62: 2, 86-96;
- Jbi. Nurse-led clinics to reduce modifiable cardiac risk factors in adults. Best practice 14(2) 2010;
- Cline C M, Israelsson B Y, Willeheimer R B et al. Cost effective management programme for heart failure reduces hospitalisation. Heart. 1998 Nov;8'(5):442-6;
- Stewart S, Marley J E, Horowitz J D. Effects of a multidisciplinary, home based intervention on unplanned readmission and survival among patients with chronic congestive heart failure: a randomised controlled study. Lancet 1999 Sep 25;354(9184):1077-8;
- Strömberg A, Mårtensson J, Fridlund B, Levin L A, Karlsson J E, Dahlström U. Nurse-led heart failure clinics improve survival and self-care behaviour in patients with heart failure: results from a prospective, randomised trial. Eur Heart J. 2003 Jun;24(11):1014-23;
- European heart journal (2012) 33, 1787–1847.
La struttura può contare su 18 posti letto e si rivolge ai pazienti non acuti
Il Policlinico Umberto I ha attivato l'Unità operativa a gestione infermieristica. Si tratta di una struttura dedicata ai pazienti non acuti che è stata inaugurata il 29 luglio 2014. A tagliare il nastro sono stati il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e il direttore generale dell'ospedale, Domenico Alessio.
La struttura. Il reparto, interamente climatizzato e collocato al quarto piano del dipartimento di urologia, dispone di 18 posti letto distribuiti in 4 stanze con 4 con doppi bagni (uno per i diversamente abili) e in una con 2. Ogni posto letto ha uno spazio di 9 metri quadri. Sono state inoltre allestite una sala ristoro con televisore, dvd e wireless, una tisaneria ed un'area dedicata alla biblioterapia.
L'Unità operativa accoglierà dunque i pazienti che, superata la fase acuta della malattia, hanno bisogno di un'assistenza infermieristica ad altà intensità per recuperare al massimo la propria autonomia. La nuova struttura consentirà di accogliere quei pazienti affetti da patologie cronico degenerative che in passato afferivano direttamente ai reparti ospedalieri per acuti.
Lo scopo è quindi evitare il ricovero ospedaliero inappropriato, limitare gli ingressi a carattere definitivo in strutture residenziali e favorire l'integrazione tra strutture ospedaliere e territoriali.
"Apriamo il secondo reparto a gestione infermieristica, con 18 posti letto – ha detto il governatore Zingaretti nel corso dell'inaugurazione –. Non è un'apertura qualsiasi. Per capire la rivoluzione: risparmiamo mille euro al giorno per paziente rispetto a un posto letto in ospedale e lo facciamo offrendo servizi più appropriati".
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Tratto da http://www.bussolasanita.it/home.cfm
16/04/2015 - Barbara Mangiacavalli, presidente Fnc OPI, interviene sulle polemiche sollevate dall'applicazione del See&Treat chiarendo ruoli e funzioni e sollecitando un lavoro comune per mettere a punto le soluzioni professionalmente migliori per tutti, anche per i cittadini
Parlare di See&Treat è diventata ormai solo fonte di polemiche sterili tra professioni. Polemiche senza una ragione di essere visti i presupposti su cui si basa il metodo nelle aziende che l'hanno previsto (di Toscana, Emilia Romagna e ora del Lazio), ma che per i toni con cui si lanciano messaggi di pericolo rispetto ai risultati delle prestazioni erogate, si sta configurando più che come monito come un vero "procurato allarme".
Le guerre di posizione tra professioni, le minacce giuridiche e gli attacchi mediatici non servono a nessuno, né ai professionisti né tantomeno ai pazienti e alla migliore organizzazione dei servizi e meglio sarebbe sedersi a un tavolo e concordare le soluzioni migliori per i percorsi dai documenti che hanno dato il via alla metodologia, salvaguardando e, anzi valorizzando, le peculiarità di entrambi le professioni.
Le "ipotesi di reato" che in questi giorni l'Ordine dei medici di Roma paventa nell'attacco al See&Treat dell'Asl Roma C sono, secondo i medici, prima di tutto di commettere il reato di falso ideologico in atto pubblico, se dovessero validare e certificare ex post e a distanza le decisioni prese dall'infermiere, senza aver prima e personalmente visitato il paziente.
Se la preoccupazione è che nella fase sperimentale, e sottolineo sperimentale, del See&Treat dell'Asl Roma C la sottoscrizione da parte del medico dell'attività verificata dell'infermiere possa non essere consona rispetto alle sue responsabilità, siccome la fase sperimentale serve proprio a verificare la fattibilità, a rimodulare tempi e modi di raggiungimento dell'obiettivo definito, (come insegnano a tutti i dirigenti e i medici dirigenti lo sono) il modus operandi tra professioni che hanno come obiettivo la tutela e salvaguardia dell'assistito loro affidato, oltre ad una responsabilità etico/organizzativa di dimostrare concretamente, e non solo a parole, che ci impegnano per garantire la sostenibilità del Ssn proprio perché siamo capaci di innovarci e "stare" dentro un sistema in profonda evoluzione e cambiamento, pena la sua sopravvivenza, può e deve essere la capacità e la volontà di affrontare le questioni di "perimetro" professionale dentro un contesto di relazioni interprofessionali, lasciando sullo sfondo il ricorso a strumenti giuridici e senza annunciare minacce o allarmi ingiustificati. E in questo senso ribadiamo la disponibilità a sederci a un tavolo per tutte le verifiche e i miglioramenti possibili, pronti ad assumerci le responsabilità che derivano da un esercizio autonomo (αυτός νόμος), cioè regolato da un proprio metodo, che è la competenza a darsi proprie regole ed esprimerle in équipe, nel See&Treat e in ogni altra situazione analoga così come previsto e certificato dove è già realtà e come accade a livello internazionale.
La seconda "preoccupazione", questa volta per gli infermieri, è ancora una volta quella di abuso di professione, con conseguenze di responsabilità in campo penale e civile. Una tesi questa già vagliata a suo tempo anche a livello di procura della Repubblica quando alcuni ordini dei medici delle Regioni che per prime hanno previsto il See&Treat si sono rivolti all'autorità giudiziaria per denunciare il presunto pericolo a cui si sottoponevano e pazienti, con un nulla di fatto proprio perché la metodologia di gestione delle urgenze rientra nelle regole, nelle leggi, nelle competenze dell'infermiere e perfino nel panorama internazionale.
Inoltre, secondo la legge 251/2000 quella infermieristica è una professione autonoma le cui funzioni sono definite dal profilo professionale e per la quale ulteriori funzioni possono essere stabilite dallo Stato e dalle Regioni. E in base alla legislazione vigente, il rapporto tra le competenze del medico e quelle dell'infermiere esclude che le prime costituiscano un limite negativo alla definizione delle seconde e che nelle "attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva", proprie della professione infermieristica, gli iscritti ai Collegi possano essere chiamati a svolgere prestazioni, con riferimento alle quali alla luce delle norme sui profili professionali, degli ordinamenti universitari e formativi post-base e del codice deontologico, abbiano acquisito un percorso formativo adeguato a garantire la collettività.
Al di là delle polemiche poi, sarebbe bene prima di tutto analizzare ciò che è scritto nell'ultima delibera dell'Asl Roma C, che richiama chiaramente le esperienze toscana ed emiliano romagnola già vagliate dalla magistratura e fa riferimento al modello anglosassone di gestione dei pazienti in pronto soccorso. Appare evidente così che le accuse non hanno fondamento, o quantomeno non dovrebbero averne se entrambi i professionisti si atterranno alle previsioni dell'azienda sanitaria.
L'avvio del progetto See&Treat nell'Asl Roma C con la realizzazione dell'area dedicata ai "codici minori" a gestione infermieristica ha come obiettivo, come è scritto nella delibera dell'azienda, di ridurre le attese in Pronto Soccorso (e siamo tutti reduci da momenti di criticità acuta nei nostri pronto soccorso, abilmente sfruttati dai media): una gestione diverse dei codici minori dovrebbe, di per se, diventare l'esempio concreto di quanto affermavo sopra, rispetto alle relazioni interprofessionali e alla capacità di innovare per migliorare appropriatezze ed efficacia di un già ottimo Ssn.
C'è poi tra gli allarmi quello del rischio per i pazienti. Non si può dubitare della preparazione degli infermieri a cui viene affidato il See&Treat perché oltre a dover essere esperti, come previsto dalla metodologia validata, la loro formazione ha avuto come obiettivo quello di implementare l'appropriatezza clinico assistenziale/organizzativa e creare un modello omogeneo per migliorare le prestazioni erogate nell'area emergenza/urgenza, attraverso lo sviluppo e la certificazione di competenze del personale infermieristico per la valutazione e il trattamento di casistica con problemi di salute minore e in parallelo percorsi formativi dedicati a medici di medicina generale, medici e infermieri coordinatori di pronto soccorso.
Un percorso chiaro e senza equivoci, quindi, che non può nei fatti – e anche con la responsabilità degli stessi medici che vi partecipano - generare rischi per i pazienti. Ma che al contrario abbatte interventi impropri, liste di attesa, code ai pronto soccorso (evitando l'afflusso di circa il 70% dei codici bianchi inappropriati) e quindi – per rispondere anche all'eventuale coinvolgimento dì controlli da parte della Corte dei conti sui costi di gestione.
Il See&Treat è un tassello del nuovo modello che dovrà caratterizzare il Servizio sanitario nazionale. Le competenze attribuite al personale infermieristico nel sistema di emergenza-urgenza, rientrano a pieno titolo nel "campo proprio di attività e di responsabilità" che l'ordinamento professionale attribuisce all'infermiere: si tratta di "attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva". E in attuazione del principio di professionalità specifica, la competenza a svolgerle è stata riservata al personale infermieristico che ha acquisito una adeguata formazione specifica e sono rese secondo i protocolli operativi definiti dal personale medico.
E non vale neppure la tesi di alcuni secondo cui la definizione delle competenze della professione infermieristica ha un limite negativo delle prerogative della professione medica. Non ci sono norme che la codificano (vedi legge n. 42/1992 e legge n. 251/2000) ed è un ipotesi incompatibile non solo con il principio di professionalità specifica (art. 33, comma 5 della Costituzione), ma con i principi dell'ordinamento comunitario che sanzionano la costituzione di monopoli professionali che non rispondano ad esigenze imperative di interesse pubblico.
La riserva di attività professionali ha come unica giustificazione l'esigenza di tutelare la collettività. Una tutela che si realizza con l'attribuzione delle funzioni a operatori che dimostrano di avere acquisito le necessarie competenze e capacità conseguite grazchiarenbdo ruoli ie a specifici e adeguati percorsi formativi.
E questo è ciò che è accaduto alla professione infermieristica: l'ordinamento attuale prevede un percorso educativo di livello universitario e una formazione post-base, ulteriormente integrata da una formazione idonea all'esercizio delle responsabilità previste nel sistema di emergenza-urgenza, riconducibili alle attività dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute, individuale e collettività. Che non sono prerogativa solo della professione medica, che nessuno mette in discussione, ma, sia pure in modo differente, anche della professione infermieristica.
Barbara Mangiacavalli
Presidente Federazione nazionale Collegi OPI