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Vi segnaliamo: Infermieri schiacciati da attività delegabili: studio piemontese rivela numeri e vissuti della professione

Visto da Noi
02 Ago 2025
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Da www.opitorino.it 

nurseUn quarto del tempo lavorativo degli infermieri nei reparti di area medica e chirurgica viene assorbito da attività che potrebbero essere delegate ad altre figure professionali. Lo rivela un recente studio realizzato in cinque ospedali piemontesi, promosso dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino e condotto dall’Università di Torino. La ricerca, pubblicata sul Journal of Advanced Nursing e sul Journal of Patient Safety, per la prima volta ha misurato in modo sistematico sia il tempo dedicato a compiti “delegabili”, sia i vissuti degli operatori.

Le mansioni non cliniche che sottraggono tempo alla cura
Il dato che emerge è netto: il 25% del turno di lavoro di un infermiere viene oggi dedicato a mansioni che comprendono cambio di presidi, rilevazione dei parametri, cura dell’igiene del paziente, gestione di telefonate, pratiche amministrative, trasporto pazienti, consegna di vassoi, e altre attività di supporto logistico. Si tratta di compiti che, secondo le indicazioni organizzative, dovrebbero essere affidati a operatori socio-sanitari (OSS), amministrativi o altro personale ausiliario, ma che nella realtà ricadono quotidianamente sulle spalle degli infermieri.

Un problema strutturale con impatti significativi
Secondo alcune ricerche internazionali, la quota di tempo dedicato ad attività non sanitarie da parte degli infermieri può arrivare addirittura al 70% nei contesti ospedalieri più critici. In Piemonte, il dato reale resta comunque strutturale, con un impatto stimato di oltre 5.000 operatori-equivalenti sottratti ogni giorno alle attività cliniche dirette agli assistiti.

Alla ricerca hanno partecipato 236 infermieri distribuiti in 27 reparti di area medica e chirurgica di cinque ospedali piemontesi, rappresentativi sia di realtà pubbliche sia private. Un approfondimento qualitativo è stato svolto su 20 professionisti selezionati per età, genere, esperienza e area di appartenenza: l’età media è di 36 anni, con una predominanza femminile dell’80%, un’esperienza media di 10 anni di carriera e una suddivisione tra area medica (13 infermieri) e chirurgica (7 infermieri).

Le ragioni che emergono sono molteplici e si intrecciano fra fattori sistemici e culturali. Gli infermieri segnalano la carenza di personale di supporto, soprattutto nei turni notturni, e la presenza di servizi spesso non funzionanti o disponibili nei momenti di bisogno. La gestione della burocrazia, dei trasporti, delle pulizie e delle pratiche amministrative pesa fortemente sulla routine infermieristica. Non meno rilevante è la difficoltà a delegare: molti infermieri, specie i più giovani, raccontano di trovare ostacoli nel rivolgersi a operatori di supporto più anziani o poco collaborativi, mentre altri esprimono dubbi sulla qualità del lavoro delegato o temono critiche dai colleghi. Prevale spesso un senso di responsabilità morale che spinge a coprire i vuoti dell’organizzazione pur di non lasciare soli i pazienti, anche a scapito del proprio benessere.

Il rischio burnout e la perdita di identità professionale
Dalle interviste emerge una professione vissuta spesso come “ibrida”, a metà tra segretari, operatori di supporto e clinici. “Quando arrivo a casa, a mente fredda, mi rendo conto che non sono stata un’infermiera, ma una amministrativa, un OSS… tante cose insieme”, racconta una delle infermiere coinvolte nello studio. I sentimenti ricorrenti sono la frustrazione, la perdita di identità professionale, la paura di commettere errori, la demoralizzazione e l’ansia. Non mancano testimonianze che parlano di rischio burnout e di una motivazione messa a dura prova. Molti infermieri si sentono operatori ibridi, anelli di compensazione in un sistema che li utilizza in modo improprio, con conseguenze devastanti in termini di motivazione e rischio di burnout.

Ivan Bufalo, Presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino e anche presidente del Coordinamento degli Ordini delle Professioni Infermieristiche del Piemonte, lancia un appello forte alle istituzioni, sia politiche sia delle direzioni aziendali. «Siamo di fronte a una situazione che non è più sostenibile. In Piemonte mancano almeno 6.000 infermieri, ma il dato forse più preoccupante è che circa il 25% del tempo degli infermieri in servizio nel SSR viene quotidianamente speso in attività che nulla hanno a che fare con l’assistenza sanitaria. È urgente ripensare i modelli organizzativi e assumersi la responsabilità collettiva di restituire agli infermieri il loro ruolo centrale nella cura. Non ci sarà alcuna sostenibilità possibile senza un utilizzo appropriato, rispettoso e strategico delle competenze infermieristiche. In gioco non c’è solo l’efficienza delle cure, ma la sicurezza dei pazienti, la qualità dell’assistenza e la tenuta complessiva del sistema sanitario pubblico».

Le conclusioni degli autori sono chiare: servono interventi urgenti di riorganizzazione dei servizi, maggiore presenza di personale di supporto e formazione continua sulla delega, già a partire dai corsi di laurea. Una migliore cultura della delega (attribuzione, nel nostro caso) sottolineano i ricercatori, potrebbe ridurre il rischio di burnout e restituire agli infermieri tempo e motivazione per la cura clinica e la presa in carico globale del paziente.

Fonti:

Conti A., Gonella S., Berardinelli D., Dimonte V., Campagna S. “Time spent on activities that can be delegated and reasons for not delegating among acute care nurses: A mixed‐methods study”, Journal of Advanced Nursing, 2024.

Gonella S., Conti A., Arlorio M., Cuoghi P., Dimonte V., Campagna S. “Experiences of activities perceived as delegable among nurses in medical and surgical settings can help to guide health care policies: a qualitative phenomenological study”, Journal of Patient Safety, 2025.

 

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